Il cammino è stato lungo, tortuoso, faticoso e soprattutto doloroso: siamo passati dall’entrata di Gesù a Gerusalemme su di un umile asinello, al vederlo inchiodato alla croce e, infine, ad ungerne il corpo nel sepolcro. La pratica della meditazione cristiana ci dice che possiamo davvero immedesimarci in queste scene. I Santi stessi ci invitano a una contemplazione profonda e veritiera: “Seguire Cristo: questo è il segreto. Accompagnarlo così da vicino, da vivere con Lui, come i primi dodici; così da vicino, da poterci identificare con Lui” (San Josemaría Escrivà de Balaguer).
Questo cammino conduce alla Pasqua, mistero al cuore del nostro essere cristiani. Così la Risurrezione è l’ultima, conclusiva parola sull’uomo e la sua vita. Non la morte, ma una speranza e un grido di rinascita, una luce che squarcia quei cieli fattisi bui nel momento della crocifissione, e che torna a far splendere il corpo – anche il più sofferente e mutilato – di una bellezza nuova e inedita.
Vogliamo dunque essere lì, assieme ai discepoli, in attesa. Ma vogliamo anche che questa attesa sia carica di speranza. Alla disperazione del mondo, alle notizie nefaste, al dolore imperante, il cristiano è chiamato a opporre una consapevolezza nuova. Senza tenerla per sé stesso, ma diffondendola e portandola “in dono” a tutti.
La Pasqua è davvero Pasqua se è condivisa: dallo spezzare il pane dell’Ultima Cena, diventa esperienza finale che richiama alla fratellanza, nel comune destino che accomunerà ogni uomo e ogni donna alla fine dei tempi.
È appello, infine, perché questo pane spezzato, questa bella esperienza di condivisione, continui fino alla notte dei tempi: è richiamo alla comune solidarietà che tutti ci unisce, rinascita mai finita, appello a credere nei ricominciamenti, nei nuovi inizi, in un mondo nuovo mai più sfigurato da fame, ingiustizie e povertà.