Durante il Sabato Santo, le donne osservano la sepoltura di Gesù. Quindi decidono di preparare “aromi” e “unguenti” per ungere il corpo del Maestro. Un gesto di cura, di attenzione, di amore e di riconoscenza. In greco, lo stesso nome di Gesù, il “Cristo”, significa “unto”, e dunque scelto da Dio. Qui, in questo caso, sono mani di donna che leniscono le ferite. “Unguenti”, dunque “balsami”, quello stesso balsamo che messo sulle ferite, ne permette la guarigione. Lo ricorda anche una preghiera allo Spirito Santo, da tempo recitata nella tradizione cattolica: “Sii luce all’intelletto, fiamma ardente nel cuore; sana le nostre ferite col balsamo del tuo amore” (Vieni, Spirito Santo).
Possiamo credere che questo balsamo, ancora oggi, possa lenire le sofferenze: ma i nostri “balsami” sono le nostre parole, sono quella voce che alziamo in difesa dei diritti umani; sono quei gesti di profonda carità cristiana che aiutano, concretamente, chi è in difficoltà ad andare avanti.
Sempre la tradizione della Chiesa, le chiama “opere di misericordia”: quelle “spirituali”, anche perché sanno toccare l’animo di chi soffre, e quelle “corporali”, perché sanno lenire anche le fatiche più pungenti. Tra queste: ospitare i pellegrini, curare gli infermi, visitare i carcerati, dar da mangiare agli affamati. La Chiesa chiede cioè, a partire dalle parole e dai gesti di Cristo, una presenza cristiana significativa nel mondo, essere sale della terra, senza appartenere a questa terra; eppure darle sapore, qualità.
Il Sabato Santo è dunque invito a sostare davanti al sepolcro, pensando e meditando su quanto la nostra presenza, negli ambienti famigliari e privati ma anche professionali e nei vari ambiti in cui siamo impegnati, sa fare la differenza.