Gesù è inchiodato a una croce

Poi lo inchiodarono alla croce e si divisero le sue vesti tirando a sorte. Dopo rimasero lì seduti a fargli la guardia. In alto, sopra la sua testa, avevano messo un cartello con scritto il motivo della condanna: «Questo è Gesù, il re dei Giudei».

Matteo 27, 35-37

Venerdì Santo

“Poi lo inchiodarono alla croce”. Gesù viene inchiodato su due legni, un legno duro, che ferisce la carne. Le schegge lo trafiggono: non è più una natura amica. È il momento di massima sofferenza: un corpo straziato, dimesso, pende ora dalla croce sulla collina. Di questi corpi, colmi di dolore, affaticati, feriti ci parla anche l’attualità: guerre, malattie, sofferenze fisiche e psicologiche che coinvolgono nel mondo tantissime persone.

A Sud del Mondo un’altra straziante epidemia “silenziosa”, si diffonde con altrettanta rapidità: la fame. Quella fame che macera, indebolisce, consuma profondamente, fino a ledere nell’intimità il fisico. Così nel corpo straziato di Gesù possiamo certamente rivedere i corpi doloranti e debilitati dalla malnutrizione di donne, bambini e anziani in molti Paesi.

I discepoli guardano la croce: il dolore attraversa i loro occhi. Maria, ai piedi del calvario, soffre con uguale intensità. Una scena che ci invita a pensare ai momenti della nostra sofferenza: è sofferenza che nasce solo e unicamente dai nostri problemi, o siamo capaci di soffrire assieme, con compassione, anche del dolore altrui? Sappiamo immedesimarci in ciò che fa soffrire il prossimo? E, soprattutto, ci sentiamo compartecipi dei motivi che, spesso, generano questo dolore?

Il Venerdì Santo è invito a esserci, lì dove la vita punge di più, lì dove le condizioni di vita hanno generato più sofferenza. Per rispondere al dolore “silenzioso”, con una denuncia delle ingiustizie che invece risuoni ad alta voce, in favore di chi non ha più voce.