L’importante Obiettivo di Sviluppo Sostenibile no 2

Porre fine alla fame e a tutte le forme di malnutrizione nel mondo.

«Sono necessari più sincerità, coraggio e mezzi finanziari».

Quasi tutti gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite non sono sulla buona strada: la fame è in aumento, così come la povertà. Eva Schmassmann che dirige l’ufficio di coordinazione di Piattaforma Agenda 2030, spiega perché e cosa occorre fare.

 

Eva Schmassmann, recentemente lei ha preteso dal Consiglio Federale un maggiore impegno a favore degli Obiettivi ONU di Sviluppo Sostenibile (OSS). Come mai?

Perché la Svizzera, come molti altri Paesi, non è sulla buona strada. A parte la Piattaforma Agenda 20230, non c’è nessuno in Svizzera che abbia una visione olistica degli OSS.

C’è un urgente bisogno di maggiore trasparenza e onestà. Ad esempio, alcuni dei rapporti stilati dall’Amministrazione federale su quanto si sta facendo, non sono completi: nel Rapporto nazionale del 2022, ad esempio, l’obiettivo 6 (acqua potabile pulita) è stato esaminato calcolando il solo consumo su suolo elvetico, ignorando l’impronta idrica per merci e servizi prodotti all’etero.

E l’Obiettivo n° 2, Fame Zero?

Male! Non solo stiamo mancandolo globalmente e nei sotto obiettivi, ma ci sono anche passi indietro. Come per l’Obiettivo 1, la lotta alla povertà globale. Entrambe i fenomeni sono in aumento. Il che, a sua volta, non sorprende, perché questi obiettivi sono collegati: dove mancano i soldi, aumentano anche la fame e la malnutrizione. Eppure non manca una visione condivisa su ciò che andrebbe fatto.

Ossia?

Può funzionare solo se si tiene conto di tutti gli aspetti della sostenibilità, ovvero ambientali, sociali ed economici. L’obiettivo n° 2 non è solo uno dei più importanti, ma formula anche in modo molto accurato e completo ciò che deve cambiare. Si tratta di accesso al cibo, ma anche di qualità del suolo e delle condizioni di lavoro delle persone che lavorano in agricoltura.

Le donne sono esplicitamente menzionate e viene riconosciuto anche l’importante ruolo delle donne agricoltrici, che sono fondamentali per la produzione alimentare ma per le quali è difficile avere voce in capitolo nei processi decisionali.

Che cosa può fare le Svizzera ai fini del raggiungimento di questo obiettivo?

Per la Svizzera la sfida più grande è democratizzare il sistema alimentare e ridurre le dipendenze. Ad esempio, non dovrebbero essere riconosciuti brevetti su piante ottenute mediante selezione convenzionale. Questa conoscenza appartiene a tutti.

Devono essere riformate anche le sovvenzioni agricole, che spesso forniscono ancora falsi incentivi finanziari e quindi promuovono una produzione non sostenibile. Invece, dovremmo consumare meno carne e produrre in modo più sostenibile, ridurre gli allevamenti intensivi e importare meno mangimi per animali, per citare solo alcuni argomenti.

Sul piano globale quanto è possibile modificare?

Più di quanto sembri a prima vista, perché la Svizzera ospita molti grandi attori globali, per esempio nel commercio e nella produzione di fertilizzanti. Almeno la metà del grano commercializzato a livello mondiale e un chicco di caffè su tre, passano “contabilmente” dalla Svizzera. Nestlé, la più grande azienda alimentare del mondo, ha sede in Svizzera. OCP (Office Chérifien des Phosphates), il più importante fornitore mondiale di fosfati, vende i suoi fertilizzanti attraverso una filiale svizzera.

E Syngenta, una delle più grandi aziende di pesticidi e sementi, ha sede in Svizzera. Anche in questo caso, l’obiettivo è quello di produrre cose buone e sostenibili che abbiano un effetto globale e non creino nuove dipendenze. Dovremmo anche garantire che le aziende che operano in questo settore rispettino i diritti umani e la dignità umana ovunque.

Che cosa serve per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile?

Un nuovo impegno per la democrazia, l’inclusione di tutti i gruppi della popolazione, un sistema di commercio equo e solidale e… un sacco di soldi. La Svizzera è ben lontana dall’obiettivo ufficiale dell’ONU di destinare lo 0,7 per cento del prodotto interno lordo alla cooperazione allo sviluppo. Anche in questo caso, in politica c’è bisogno di più coraggio per difendere questi obiettivi.