San Benedetto nella sua Regola dedica un intero capitolo all’accoglienza degli ospiti dove si insegna che non riceviamo un ospite per filantropia o per cortesia mondana, ma per un atto di carità cristiana. D’altronde la storia monastica è una storia di accoglienza, non solo di poveri e pellegrini, ma anche di re, principi, alti dignitari e a volte persino del Papa.

La Regola detta un preciso cerimoniale di ricevimento di un ospite, un’accoglienza calorosa fatta di abbracci e inchini. Il momento di preghiera è anche un modo per verificare le buone intenzioni dell’ospite, che poi non viene mai lasciato solo non solamente per motivi di cortesia, ma anche per controllarlo: la prudenza non è mai troppa. Dopo la preghiera comune, all’ospite «si porga ogni più umano ristoro»; l’Abate in persona versa l’acqua per l’abluzione delle mani e lava a ciascun ospite i piedi.

L’accoglienza a tavola è elemento fondamentale dell’ospitalità e i cuochi incaricati della mensa degli ospiti devono svolgere quel compito «come si deve», organizzando bene le corvée in cucina e prestando una cura particolare nell’arte culinaria. San Benedetto considera infatti sacra quella tavola, tanto da prevedere la seguente regola: «Se non è uno dei giorni in cui il digiuno non può essere violato, il superiore rompa pure il suo digiuno per far compagnia all’ospite».