Grazie all’aiuto e all’assistenza della rete dei monasteri l’Europa ha potuto affrontare gravi momenti di carestia – si ritiene che l’abbazia di Cluny, nel suo periodo di massimo splendore, assistesse 17.000 poveri in un anno – e sviluppare una cultura dell’accoglienza, dell’ospitalità.
La Regola di san Benedetto prescrive a chiare lettere il dovere dell’accoglienza nei confronti di chi si presenti alla porta del monastero. Per San Benedetto l’altro è Cristo e accogliendo l’altro si accoglie Cristo stesso. L’esperienza della vita monastica ha così codificato, in qualche modo, una sorta di regola dell’ospitalità: si accoglie l’ospite sulla porta; è lo stesso padrone di casa, l’abate, che si fa incontro a lui; il primo momento è quello del saluto, che manifesta all’ospite che è il benvenuto; poi l’ospite viene fatto entrare in casa, nel monastero, e lo si ascolta, si condivide quanto ha da dire, senza pregiudizi, con una forma di spontanea simpatia nei suoi confronti; all’ascolto segue il dialogo, il momento in cui si entra in rapporto con l’ospite, interrompendo le proprie occupazioni e dando all’altro un po’ del proprio tempo e un po’ di sé stessi; con l’ospite, poi, si condivide la mensa, il momento della vita, della gioia.
L’ospitalità monastica diventa così modello di accoglienza dell’altro.