Il regime alimentare proposto dalla Regola benedettina era, in ogni caso, un regime sano e naturale, anche se abbastanza monotono, condizionato inoltre dalla produzione agricola stagionale e dalla diversa collocazione geografica dei monasteri e pertanto anche della conseguente diversa qualità degli ingredienti usati per la preparazione delle vivande. Queste avrebbero dovuto in ogni caso essere presentate sulla mensa monastica in modo quasi sempre uniforme, giorno per giorno, mese per mese, in modo così monotono da allontanare i cenobiti da ogni forma di intemperanza e golosità.


«Nessuno si permetta di mangiare o di bere qualcosa prima dell’ora stabilita»
ve 4.4.
Il controllo dell’alimentazione per i monaci, a qualsiasi ordine appartenessero, fu uno dei settori prescelti con cura quasi maniacale per esercitare l’ascetismo, forse ancora più delle preghiere nella liturgia delle ore. Questa predilezione pone l’accento sul fatto che i monaci erano uomini provenienti da un ambiente sociale elevato, non oppresso dalla paura della possibile scarsità di cibo, uomini che amavano la buona tavola, in quanto in caso contrario non avrebbero avuto bisogno di costanti e ripetuti inviti alla moderazione e alla rinuncia dei cibi considerati più appetibili, ma anche più costosi, (quali le spezie) e - in particolare - carichi di forti valenze simboliche (come la carne rossa).