Accettati questi dati, puramente ipotetici, si potrebbe presumere che in genere i monaci potessero soffrire di deficienze di vitamine, specie della vitamina A in quanto la frequente cottura dei legumi e degli ortaggi e l’uso de pesci secchi e salati comporta una diminuzione di circa il 70% di questa preziosa vitamina. Dovevano invece maggiormente patire di eccessivi apporti proteici e di glucidi, legati al continuo consumo di legumi. Un regime alimentare di questo tipo comportava l’insorgere di molte malattie discrasiche ed una notevole incidenza di iperostosi.


«Se il lavoro è più gravoso del solito l’abate può aggiungere un piccolo supplemento [di cibo]»
ma 1.4.
Ben poco si può dire sul valore energetico delle diete monastiche che, in modo molto generale e prendendo in considerazione le regole dei singoli ordini, avrebbe dovuto consistere in un 20% di pesce, uova e formaggio, in un 18% di pane, in un 20% di vino, in un 2% di spezie (o cipolle, aglio, rafano e altri prodotti locali per insaporire i pulmentaria) e in un 40% di legumi ed ortaggi (che avevano quasi un valore mistico, essendo un metasegno di povertà ed umiliazione) o di frutta.