Il monachesimo non si limitò a portare alle più estreme conseguenze il rifiuto del cibo (o di certi cibi), concedendo generalmente solo il consumo di acqua, pane, degli ortaggi coltivati o spontanei, dei legumi e della frutta, ma - seppure velatamente - giunse a concludere che chi mangia con piacere, riversa sul cibo la sua anima, in modo tale che questo diventa condimento a quel che mangia, come affermò Bernardo da Chiaravalle (1091-1159) nelle sue Meditationes piissimae ad humanae conditionis cognitionem.

Tuttavia, nella Regola benedettina il digiuno viene prescritto senza estremismo, anche perché tutta la Regola dispone la vita del monaco in modo equilibrato e moderato: mancano gli sforzi disumani degli asceti orientali, mentre trova spazio la sensibilità di adattare le rinunce alle condizioni climatiche e ai lavori nei campi che segnavano la vita del monaco.

L’astinenza (dal latino abs – teneo, tengo lontano, evito) è un precetto di natura penitenziale. La religione cristiana (e quindi le regole monastiche) rifiutarono gli interdetti musulmani e ebraici. Il Cristianesimo diede sin dalle origini una grande importanza ai primi cinque libri dell’Antico Testamento, Torah in ebraico, Pentateuco in greco. Nel primo di questi libri, Genesi, ci sono parole molto importanti. Dio dice: «Ecco, io vi ho dato tutta la vegetazione che fa seme sulla superficie dell’intera terra e ogni albero sul quale è il frutto d’un albero che fa seme. Vi serva di cibo» (Gen 1,29).